• ALDO BRAIBANTI

    On: 6 Aprile 2014
    In: Senza categoria
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    Il pensiero di Aldo Braibanti è un tunnel sotterraneo che passa attraverso le rovine del novecento europeo e si proietta verso i secoli futuri. La sua opera è inafferrabile e precisa, le sue analisi, tanto sociali quanto artistiche e scientifiche, vanno ben al di là dei concetti stantii cui l’uomo contemporaneo si trova oggi mediocremente vincolato, in una riformulazione continua basata su tre passaggi fondamentali: il decentramento, la desaturazione, la deconcentrazione. Questa breve biografia è stata scritta per la pagina Wikipedia da Giuseppe Spina con l’aiuto di Leonardo Carrano che ha corretto il testo con lo stesso Aldo Braibanti. Per volontà di Braibanti, è l’unica biografia autorizzata. [Questo testo è rilasciato sotto licenza Creative Commons CC-by-SA]

    Braibanti_x_Carrano

    Aldo Braibanti (Fiorenzuola d’Arda, 17 settembre 1922 – Castell’Arquato, 6 aprile 2014) è uno scrittore, sceneggiatore e drammaturgo italiano. Intellettuale “a tutto tondo”, partigiano antifascista e poeta, nella sua vita si è occupato di arte, cinema, politica, teatro e letteratura, oltre ad essere un esperto mirmecologo.

    L’infanzia e la giovinezza tra Fiorenzuola e Parma Trascorre l’infanzia a Fiorenzuola, accompagnando spesso il padre medico condotto nei ripetuti spostamenti attraverso la provincia piacentina, dove ben presto scopre la centralità del mondo naturale e sviluppa un pensiero acuto e radicale in tema di ecologia e salvaguardia dell’ambiente, rispetto alla vita animale e in particolare all’interesse per i costumi degli insetti sociali: formiche, api e termiti. In pieno periodo fascista vive “in una famiglia illuminata e ferma nel rifiuto di ogni situazione autoritaria e clericale”[1], tra i sette e gli otto anni inizia a scrivere i primi testi poetici.

    Tra i suoi interessi scolastici vi sono Dante, Petrarca, Carducci, Pascoli e D’Annunzio, ma soprattutto Leopardi e Foscolo ed è in quel periodo che inizia la sua attività poetica, abbandonando subito la rima e le tradizioni stilistiche per scrivere “poesie in libertà”[2]. Di allora sono anche i primi tentativi teatrali (Amneris), i primi dialoghetti filosofici (Il veglio della montagna) e i primi “inni alla natura”. Dopo gli studi liceali a Parma si trasferisce a Firenze e si iscrive alla facoltà di Filosofia, qui nasce l’amore per Leonardo, Giordano Bruno e soprattutto Spinoza. Inizia a dedicarsi ai collages e agli assemblages spesso secondo la tecnica del “objets trouvés”, mentre l’osservazione delle formiche comincia a precisarsi in un interesse che mira ad essere sempre più scientifico.

    Il periodo fiorentino della Resistenza partigiana Dal 1940 prende parte alla Resistenza partigiana a Firenze partecipa alla nascita dei primi movimenti intellettuali antifascisti e aderisce al partito d’azione “Giustizia e libertà” nel 1943 aderisce al Partito Comunista clandestino, insieme a Gianfranco Sarfatti, Teresa Mattei (Chicchi), Renzo Bussotti, e altri. “Alla base della decisione non vi sono divergenze ideologiche con gli azionisti, bensì il desiderio di “conoscere un’altra classe”[3]. Il Partito Comunista infatti, a differenza di “Giustizia e libertà”, era soprattutto il partito della classe operaia che “portava su di se il peso più grande della lotta di classe […] io che venivo da una classe sociale diversa ho voluto far miei le forme e gli scopi della lotta antifascista partendo appunto dalle necessità improrogabili del mondo del lavoro”[4].

    Sotto il fascismo Braibanti viene arrestato due volte: la prima nel 1943 in seguito a una retata che coinvolse anche il futuro segretario repubblicano Ugo La Malfa, fu scarcerato il 25 luglio quando, alla caduta del fascismo, Pietro Badoglio diede l’ordine di liberare prima i docenti e poi gli studenti – mentre molti tra i “comunisti adulti” arrestati saranno fucilati dai tedeschi. Il secondo arresto, nel 1944, fu ad opera dei nazisti della famigerata Banda Carità, fu torturato dagli aguzzini di Koch. Tutti i suoi scritti fino al 1940 furono sequestrati dalle truppe delle SS italiane e andarono perduti per sempre.

    Gli anni del dopoguerra Nel 1946 fu tra gli organizzatori del Festival mondiale della gioventù a Praga e diviene collaboratore del PCI in qualità di responsabile della Gioventù Comunista toscana. Nel 1947 abbandona la politica attiva dimettendosi da tutti i suoi incarichi con una poesia pubblicata sulla rivista “Il Ponte” che iniziava con la frase: “non è un addio ma un congedo”, declina l’invito di Botteghe Oscure ritenendo di “non essere un politico”. Il dopoguerra è anche il periodo in cui si laurea in filosofia teoretica con una originale ricerca sul tema del grottesco, “inteso come crisi dell’ideale, e quindi come terra di mezzo fra il tragico e il comico”[5].

    Il laboratorio artistico di Castell’Arquato L’abbandono della politica coincide con la scelta di dedicarsi ai vari aspetti culturali in primo luogo quelli artistici. Sempre nel 1947 inizia l’esperienza comunitaria del torrione Farnese di Castell’Arquato, un laboratorio artistico con Renzo Bussotti e Sylvano Bussotti, Roberto Salvadori, Fiorenzo Giorgi e altri, che per sei anni diviene uno studio ceramistico e polivalente. Le opere del torrione Farnese sono state esposte in varie mostre in molte città americane ed europee, tra cui una massiccia partecipazione alla triennale di Milano. A questo punto finalmente Braibanti può dedicarsi alla poesia, alla scrittura di opere teatrali, a sceneggiature, ma anche ai suoi formicai artificiali e a un profondo contatto con la realtà ecologica del tempo.

    A quel periodo risalgono i testi che confluiranno nei quattro volumi della raccolta intitolata “Il circo” (edizioni Atta, 1960), l’inizio dell’operazione cinematografica intitolata “Pochi stracci di sole“, rimasta irrealizzata, ma che anni dopo troverà una continuazione nei film “Orizzonte degli eventi” e “Morphing” e nelle sceneggiature de “Il pianeta di fronte” e “Colloqui con un chicco di riso“. A un certo punto le amministrazioni democristiane di allora non rinnovarono più i contratti d’affitto per la torre. Il laboratorio venne chiuso e ogni membro iniziò un percorso indicato dalle proprie tendenze culturali e artistiche.

    Carmelo Bene, in “Vita di Carmelo Bene“: “Un genio straordinario. C’intendemmo subito. “Vieni a trovarmi a Fiorenzuola D’Adda”, mi aveva detto. Abitava in una torre molto bella. Aveva un formicaio che curava maniacalmente. Sapeva tutto delle formiche e di molte altre cose. Passai da lui dopo la vacanza veneta. Una settimana insieme a un altro pazzo, il suo editore, progettando spettacoli su palloni aerostatici a Portofino, sopra le teste dei miliardari in vacanza. Dormivo in camera sua, su questi letti Ottocento in radica. Uno dei miei tanti padri. Mi sentì un giorno che leggevo Campana. “Il più grande poeta italiano”, disse. M’insegnò con quella sua vocetta a leggere in versi, come marcare tutto, battere ogni cosa. Gli devo questo, tra l’altro. Non è poco. Progettavamo insieme come demolire la convenzione teatrale e letteraria italiana”[6].

    Gli anni romani Nel 1956 Aldo Braibanti partecipa ai lavori per il congresso nazionale del PCI, ma il suo intervento è molto polemico in relazione ad alcuni aspetti di certo stalinismo diffuso. Per questo non viene ammesso tra i delegati. Braibanti abbandona gli schieramenti partitici, pur restando rispettoso dei rapporti fraterni con i suoi vecchi compagni della resistenza e della conseguente politica.[7] Nel 1960, Eugenio Cassin, conosciuto durante il periodo della Resistenza fiorentina, pubblica i quattro volumi de Il circo: il primo contiene poesie dal 1940 al 1960, il secondo e il terzo opere teatrali, il quarto saggi e vari scritti. Dello stesso anno sono l’opera Guida per esposizione e la traduzione in italiano moderno del Giornale di bordo di Cristoforo Colombo, (Schwarz editore, 1960).
    Nel 1962 si sposta a Roma, in quel periodo lavora a teatro con il giovane Carmelo Bene, riprende le collaborazioni con Sylvano Bussotti e Vittorio Gelmetti con il quale collabora per un breve periodo alla fondazione dei Quaderni Piacentini insieme ai fratelli Giorgio e Marco Bellocchio, e molti anni dopo per la versione radiofonica del suo lavoro teatrale Ballata dell’Anticrate che sarà trasmessa da Radio 3 nel 1979. Fino al 1968 Braibanti lavora su una complessa operazione teatrale dal titolo Virulentia: “una catena di spettacoli monografici che chiamavo “bandi”, e che alla fine sarebbero sfociati nel gioco di specchi di una sceneggiatura cinematografica”[8], tra il 1967 e il 1968 infatti porta su pellicola con Alberto Grifi il film: Transfert per kamera verso Virulentia. “Virulentia sviluppava in particolare il rapporto tra persuasione e violenza, e tra persuasione palese e persuasione occulta”[9].
    Era il periodo in cui in Italia arrivavano gli spettacoli del Living Theatre e di Grotowski, molto diversi dall’opera di Braibanti che ebbe un grande impatto soprattutto nell’ambiente romano. “Ogni bando di Virulentia si svolgeva in una serie di tableaux vivants, nei quali la deconcentrazione e la meditazione producevano una serie di “percorsi liberi”, attraverso i quali alla fine si ricomponeva la proposta testuale. Si trattava di un teatro nel quale anche la parola svolgeva un ruolo gestuale”[10]. Il lavoro su Virulentia viene illustrato dallo stesso Braibanti in alcuni dei saggi presenti in Impresa dei prolegomeni acratici. Nel 1967 a Roma tiene una mostra di assemblages insieme a Giampaolo Berto. È il 1968 quando il giudice legge la sentenza di quello che restò tristemente famoso come “il caso Braibanti”.

    aldo braibanti_processo

    L’assurdità di un processo: il “caso Braibanti” Giunto a Roma nel 1962, Braibanti continua la sua ricerca e per un anno e mezzo chiede e ottiene la collaborazione dell’amico Giovanni Sanfratello, un giovane di 23 anni che aveva conosciuto nel periodo del laboratorio artistico del torrione Farnese di Castell’Arquato: “…mi sono spostato a Roma, e Giovanni Sanfratello mi accompagnò, perché venendo a Roma poteva difendersi meglio dalle pressioni assurde del padre, dovute a ragioni religiose, ideologiche e politiche. I Sanfratello, anche loro piacentini, erano ultraconservatori, cattolici e tra i più fascisti, e non riuscivano ad accettare che il loro figlio potesse scegliere una vita tanto diversa dalla loro”[11]. Il 12 ottobre del 1964 Ippolito Sanfratello, padre di Giovanni, presenta denuncia alla Procura di Roma contro Braibanti avendo trovato in modo non chiaro la collaborazione ambigua di unPubblico Ministero: l’accusa è di “plagio”.
    In pratica Braibanti veniva accusato di aver influenzato il figlio e di avergli imposto le proprie visioni e i propri principi. I primi di novembre quattro uomini irrompono nella pensione romana in cui i due erano ospitati e portano via Giovanni con la forza, in una macchina dove era presente anche il padre: Giovanni sarà trasferito prima a Modena in una clinica privata per malattie nervose, poi al manicomio di Verona dove subirà “un grande numero di elettroshock e vari shock insulinici. Tutto questo contro la sua volontà, tenendolo isolato dai suoi amici, dai suoi avvocati e da chiunque avesse ascoltato le sue ragioni” (come scrisse Alberto Moravia, nel testo intitolato Sotto il nome di plagio). Giovanni dopo 15 mesi di internamento fu dimesso, con una serie di clausole che andavano dal domicilio obbligatorio in casa dei genitori al divieto di leggere libri che avessero meno di cento anni. Giovanni Sanfratello, nonostante tutto, al processo dichiarò di “non essere stato soggiogato dal Braibanti”[12].
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    a quelli che denunciavano un fantomatico plagio, non hanno dato nessun valore alle dichiarazioni spontanee di Giovanni. Il pubblico ministero arrivò a dichiarare che: “il giovane Sanfratello era un malato, e la sua malattia aveva un nome: Aldo Braibanti, signori della Corte! Quando appare lui tutto è buio”[13]. Viene dato peso invece alla dichiarazione di un giovane col quale Aldo Braibanti aveva fatto alcuni viaggi lungo l’Italia nell’estate del 1960. Piercarlo Toscani, che all’epoca dell’incontro aveva 19 anni, lo accusò dichiarando tra le altre cose: “il Braibanti aveva tentato di introdursi nella mia mente con le sue idee politiche, cioè comunismo in nome di una libertà superiore e ateismo […] cominciò ad impedirmi le letture di svago a me usuali […] tali impedimenti non erano su basi di una prepotenza esteriore, ma sulla base di una prepotenza interiore, intellettuale, che è molto più forte dell’altra”[14]. Alcuni giornali della destra ufficiale si scagliano contro quello che chiamano “il professore”, “il mostro”, “l’omosessuale”.

    Dopo un processo durato 4 anni, nel 1968, Aldo Braibanti viene condannato a nove anni, che in appello diventano sei. Scontò due anni di carcere e due gli furono condonati perché partigiano della resistenza. Fu il primo e l’unico ad essere condannato per plagio, reato introdotto dal fascismo col Codice Rocco. Questo reato non è mai stato presente in nessun codice del mondo. Di conseguenza questa condanna ha avuto una grande eco nella stampa internazionale che condannò il processo. Tranne un giornale sud-americano dichiaratamente di estrema destra.

    La condanna suscitò ampia eco in tutta Italia, a favore di Braibanti si mobilitarono Alberto Moravia, Umberto Eco, Pier Paolo Pasolini, Marco Bellocchio, Adolfo Gatti, Giuseppe Chiarie e numerosi altri intellettuali e uomini di cultura. Si mobilitarono anche i radicali di Marco Pannella. Il processo rivelò infatti rapidamente la sua natura politica, proponendosi come l’estremo tentativo del vecchio ordine sociale di imporre i propri valori contro la marea montante del Sessantotto. In effetti, a differenza di quanto è avvenuto in altre nazioni, nella storia italiana ogni variante sessuale è stata usata giudiziariamente per fini politici di destra. Braibanti fu scelto come “capro espiatorio” in quanto al tempo stesso comunista ed ex partigiano, ma anche irregolare secondo l’ufficialità dei rapporti sessuali di quell’epoca, in un periodo in cui ogni variazione sessuale era giudicata “indifendibile” (in quanto “degenerazione piccolo borghese”) anche in alcune ristrette frange della sinistra ufficiale. La sua era quindi, da un certo punto di vista propagandistico, una figura “indifendibile”, utile per dimostrare che i comunisti stavano corrompendo la gioventù italiana e i valori famigliari tradizionali. Va inoltre notato che la controversa legge sul plagio, introdotta nel codice penale durante il periodo fascista proposto da Rocco, portò nel dopoguerra ad una condanna in questo unico caso e fu successivamente abolita, senza essere più stata applicata, grazie all’infuocato dibattito scatenato dalla sua condanna, con sentenza della Corte costituzionale n. 96 dell’8 giugno 1981.

    Subito dopo la sentenza Pier Paolo Pasolini scriverà: “Se c’e un uomo «mite» nel senso più puro del termine, questo è Braibanti: egli non si è appoggiato infatti mai a niente e a nessuno; non ha chiesto o preteso mai nulla. Qual è dunque il delitto che egli ha commesso per essere condannato attraverso l’accusa, pretestuale, di plagio? Il suo delitto è stata la sua debolezza. Ma questa debolezza egli se l’è scelta e voluta, rifiutando qualsiasi forma di autorità: autorità, che, come autore, in qualche modo, gli sarebbe provenuta naturalmente, solo che egli avesse accettato anche in misura minima una qualsiasi idea comune di intellettuale: o quella comunista o quella borghese o quella cattolica, o quella, semplicemente, letteraria… Invece egli si è rifiutato d’identificarsi con qualsiasi di queste figure – infine buffonesche – di intellettuale.[15]

    Carmelo Bene, dirà nel 1998: “Un fatto ignobile. Uno dei tanti petali di questo fiore marcito che è l’Italia. Fu condannato a undici anni, per un reato mai tirato in ballo fino ad allora. Il plagio. Per giunta ai danni di un maggiorenne… Tutto è plagio, che scoperta! Qualunque soggetto pensante e parlante è quotidianamente sottoposto a plagio. In seguito, sempre troppo tardi, questo reato fu cancellato dal codice penale. Contro Braibanti si scatenò la rappresaglia del sociale, la vendetta delle masse. Era l’intellettuale migliore che avesse l’Italia all’epoca. Aveva interessi pittorici, letterari, musicali. Profeta in anticipo di trent’anni. Fu uno dei primi a condannare il consumismo. I “diversi” allora in Italia si contavano. Lui, Pasolini, pochi altri”[16]. Mentre lo stesso Braibanti in “Emergenze. Conversazioni con Aldo Braibanti” ricorderà trentacinque anni dopo: “quel processo, a cui mi sono sentito moralmente estraneo, mi è costato due nuovi anni di prigione, che però non sono serviti a ottenere quello che gli accusatori volevano, cioè distruggere completamente la presenza di un uomo della Resistenza, e libero pensatore, ma tanto disinserito dal mondo sociale da essere l’utile idiota adatto a una repressione emblematica. Purtroppo la colpevole superficialità di gran parte dei media ha cercato da allora di etichettarmi in modo talmente odioso che per reazione ho finito col chiudermi sempre più in un isolamento di protesta, fuori da ogni mercato culturale”.

    Gli anni in prigione In prigione Braibanti continua, in condizioni penose e in modo quasi clandestino, la sua attività di poeta, scrive un’opera teatrale dal titolo L’altra ferita in cui riporta in chiave moderna l’avventura del Filottete di Sofocle che verrà rappresentata da Franco Enriquez nel 1970, con la musica elettronica di Pietro Grossi e le scenografie di Lele Luzzati. Altri scritti furono inseriti nella raccolta di saggi pubblicata sempre nel 1970, a cura della Finzi-Ghisi, che ha come titolo Le prigioni di stato.

    Le opere dal 1971 a oggi Uscito di prigione, riprende il ciclo di Virulentia, ma presto lo abbandona per un nuovo ciclo di laboratorio teatrale, Ballate dell’Anticrate, che diventano presto anche una serie di sceneggiati radiofonici, preceduti da Lo scandalo dell’immaginazione e seguiti dalle Stanze di Azoth. Braibanti porta avanti il lavoro teatrale come un laboratorio e le varie opere sono legate da “una sorta di canone infinito, che faceva di tutte le opere teatrali una sola proposta continua”[17]. Per questo i suoi spettacoli non avevano repliche, ma rappresentazioni uniche che Braibanti interpreta come “il momento di saturazione del laboratorio”[18]. Così accade a opere come Il Mercatino, presentato a Cagliari negli anni settanta, a Theatri epistola, presentato a Segni negli anni ottanta. Nel 1979, in occasione di una mostra di assemblages a Firenze pubblica l’opera-catalogo Objets trouvés, sempre negli anni ottanta collabora con la rivista “Legenda” nella quale pubblica sette prose d’arte. Il 1988 è l’anno della pubblicazione dell’Impresa dei prolegomeni acratici (Editrice 28, 1988) un testo dalle tematiche variegate: “della critica storica e di una rifondazione della pedagogia, ma soprattutto descrivo la crisi di sviluppo che mi ha portato fuori dalla psicoanalisi classica, per indirizzarmi coerentemente verso una interpretazione del comportamento più strettamente biologica”[19]. Impresa dei prolegomeni acratici vuole mettere in luce la crisi del linguaggio. “Il linguaggio è una fotografia dell’uomo: come l’uomo tutte le parole nascono, vivono e muoiono”.[20] Nel 1985 scrive la sceneggiatura per il film Blu cobalto per la regia di Gianfranco Fiore Donati e l’interpretazione tra gli altri di Anna Bonaiuto ed Enrico Ghezzi. Il film, presentato al festival di Venezia, riceve un premio dalla Fice (Federazione italiana cinema d’essai) e dalla Lega Cooperative.

    Nel 1991 pubblica Pellegrinaggio a Rijnsburg nella sezione musicale della Biennale di Venezia. Nel 1998 esce Un giallo o mille con testi poetici e collages. Del 2001 è Frammento Frammenti (edizioni Empirìa) che raccoglie gran parte delle sue poesie dal 1941 al 2001. Nel 2003 viene pubblicato Emergenze. Conversazioni con Aldo Braibanti (edizioni Vicolo del Pavone) un lungo dialogo con Stefano Raffo in cui Braibanti ripercorre la sua vita e il suo lavoro di pensatore libertario: “chiamo “libertario” chi non si rifugia in una teoria dei “valori”, e riesce senza angoscia a rimettere sempre tutto in discussione. […] Ogni conoscenza degna di questo nome si muove, attraverso una memoria selettiva, verso le interminabili praterie del non conosciuto, negando drasticamente ogni tentazione di inconoscibilità. Ne consegue una totale relatività di ogni verità, di ogni etica, di ogni estetica. Etica e conoscenza si identificano nel rispetto e nella difesa della vita”.

    Tra i suoi video Orizzonte degli eventi realizzato negli anni Ottanta. Nel 2005 gli viene comunicato uno sfratto dalla sua casa in via del Portico d’Ottavia a Roma, in cui viveva da quarant’anni, una vecchia casa popolare malandata in cui Braibanti viveva con la pensione sociale minima: viene creato un “Comitato pro Braibanti”, e alcuni parlamentari de L’Unione (tra cui Franco Grillini e Giovanna Melandri) proposero di assegnargli un vitalizio in base alla legge Bacchelli, concesso il 23 novembre 2006 dal secondo governo Prodi. Nel 2008 lo stabile in via del Portico d’Ottavia viene acquistato dalla famiglia Fuksas e poco tempo dopo Braibanti e la sua libreria composta da migliaia di volumi sono costretti ad abbandonare la casa. Oggi Braibanti vive provvisoriamente a Castell’Arquato, ha in lavorazione il Catalogo degli amuleti, il Nuovo dizionario delle idee correnti, il video in lungometraggio intitolato Quasi niente.

    Opere e pubblicazioni

    • Il circo e altri scritti, 4 volumi (raccolta di opere di teatro, poesie, saggi), edizioni Atta, 1960

    • Guida per espositione, Atta, 1960

    • Le prigioni di Stato, Feltrinelli, 1969

    • Aldo Braibanti: objet trouvé, Firenze, Stamperia della Bezuga, 1979. Catalogo della Mostra tenuta a Firenze nel 1979

    • Impresa dei prolegomeni acratici, Editrice 28, 1989

    • Pellegrinaggio a Rijnsburg nella sezione musicale del Catalogo della Biennale di Venezia, 1991

    • Frammento frammenti: 1941-2003, Edizioni Empiria, 2003

                 Traduzioni

    • Cristoforo Colombo. Il giornale di bordo. Schwarz, 1960 – traduzione dallo spagnolo

      Filmografia

    • Transfert per kamera verso Virulentia regia di Alberto Grifi, dall’operazione teatrale di Braibanti, 1967

    • Orizzonte degli eventi, regia e sceneggiatura

    • “Il pianeta di fronte”, regia e sceneggiatura

    • Colloqui con un chicco di riso, regia e sceneggiatura

    • Morphing, regia e sceneggiatura, con le animazioni di Leonardo Carrano, 1995

    • Blu cobalto, sceneggiatura per la regia di Gianfranco Fiore Donati, con Anna Bonaiuto ed Enrico Ghezzi, 1985

      Radio

    • “Lo scandalo dell’immaginazione”, scritta e diretta per Radio Rai

    • “Le ballate dell’Anticrate”, scritta e diretta per Radio Rai

    • “Le stanze di Azoth”, scritta e diretta per Radio Rai

      Collaborazioni a riviste

    • IMPRINTING sperimentazione e Linguaggio 1975-79

    • La Civiltà Delle Macchine

    • MarcaTre

    • Quaderni Piacentini

    • Sipario

      Bibliografia

    • Stefano Raffo, Emergenze. Conversazioni con Aldo Braibanti, Vicolo del Pavone, 2003

    • Anonimo, La sentenza Braibanti (atti del processo), De Donato, Bari 1969. Esame della vicenda, in ottica innocentista.

    • Alberto Moravia, Umberto Eco, Adolfo Gatti, Mario Gozzano, Cesare Musatti, Ginevra Bompiani, Sotto il nome di plagio, Bompiani, Milano 1969. Interventi di intellettuali italiani a favore di Braibanti.

    • Libérez Braibanti!: suivi de Tartuffe et Dom Juan, Jean Pierre SCHWEITZER, Aldo BRAIBANTI, les amis de Jules Bonnot, 1971

    • Umberto Eco, “Il costume di casa. Evidenze e misteri dell’ideologia italiana negli anni sessanta”, Bompiani, Milano, 2012

    • Gabriele Ferluga, Il processo Braibanti, Silvio Zamorani editore, Torino 2003, ISBN 88-7158-116-4. Monografia sul caso Braibanti, che riesamina il caso in una prospettiva storico-politica.

    • Andrea Pini, “Quando eravamo froci. Gli omosessuali nell’Italia di una volta”, 2011

    Note

    1. ^ Vedi Stefano Raffo, Emergenze. Conversazioni con Aldo Braibanti, 2003, p. 45

    2. ^ Raffo, 2003, p. 46

    3. ^ Raffo, 2003, p. 37

    4. ^ Raffo, 2003, p. 37

    5. ^ Raffo, 2003, p. 20

    6. ^ Carmelo Bene – Giancarlo Dotto, “Vita di Carmelo Bene”, ed Bompiani, 1998, p.115

    7. ^ da un’intervista contenuta in Andrea Pini, Quando eravamo froci. Gli omosessuali nell’Italia di una volta, 2011, p. 181

    8. ^ Raffo, 2003, p. 49

    9. ^ Raffo, 2003, p. 49

    10. ^ Raffo, 2003, p. 50

    11. ^ Pini, 2011, p. 181

    12. ^ Lambda, rivista, gennaio-febbraio 1979

    13. ^ Lambda, rivista, gennaio-febbraio 1979

    14. ^ Lambda, rivista, gennaio-febbraio 1979

    15. ^ Il caos su “Il Tempo”, n. 33, 13 agosto 1968

    16. ^ Carmelo Bene – Giancarlo Dotto, 1998, p. 121

    17. ^ Raffo, 2003, p. 50

    18. ^ idem

    19. ^ Raffo, 2003, p. 52

    20. ^ idem

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  • Manuele Cecconello

    On: 4 Marzo 2013
    In: Senza categoria
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    Olga e il tempo. Parte prima: epica minima del mattino

    Italia, 2007, 00:56:00
    documentario senza dialoghi
    soggetto Manuele Cecconello
    sceneggiatura Manuele Cecconello
    fotografia Manuele Cecconello
    musiche di repertorio Arvo Pärt, Alfred Schnittke
    camera Manuele Cecconello, Claudio Pidello
    montaggio Manuele Cecconello
    produzione Prospettiva Nevskij

    un film di Manuele Cecconello

    Parte prima: epica minima del mattino. L’amore per la montagna, una devozione simbiotica con la natura, una dignità salda fondata sul lavoro, rappresentano il mondo di Olga, icona solitaria di tutti i pastori di questa parte del Piemonte: il Biellese. Il film cattura e restituisce al pubblico il quotidiano rito per la Terra di una persona che ha scelto il proprio Tempo per sondare l’enigma dell’esistenza.

    Olga e il tempo. Parte seconda: equinozio del pomeriggio

    Italia, 2008, 01:15:00
    documentario senza dialoghi
    camera Manuele Cecconello, Claudio Pidello
    fotografia Manuele Cecconello
    sound design Manuele Cecconello
    montaggio Manuele Cecconello
    consulenza al montaggio Pier Paolo Giarolo, Enrico Terrone
    musiche J. S. Bach, Giulio Monaco
    produzione Prospettiva Nevskij 2008

    un film di Manuele Cecconello
    Secondo capitolo dell’”epopea minima” di Olga Valcauda, pastora dell’alto Biellese.

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  • Anna Marziano

    On: 27 Febbraio 2013
    In: Senza categoria
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    DELLA MUTEVOLEZZA DI TUTTE LE COSE E DELLA POSSIBILITA’ DI CAMBIARNE ALCUNE
    THE MUTABILITY OF ALL THINGS AND THE POSSIBILITY OF CHANGING SOME

    France, 2011, 00:16:00
    original version
    italian, sub: eng/ fra
    direction, camera, sound
    , editing Anna Marziano

    Sinossi / Synopsis
    – Questo viaggio intorno alla mutevolezza inizia all’Aquila, in un territorio colpito dal terremoto del 2009. Anna Marziano propone delle letture in alcuni spazi pubblici: per la strada, in un centro commerciale, nella piscina comunale… Lo spazio-tempo del film diventa uno spazio pubblico in sé, dove è possibile fare esperienza del cambiamento, individuale e sociale: accettando le cose che non è possibile cambiare… e trasformando quelle che possono essere cambiate.
    This journey into mutability takes place in the Abruzzi (Italy), on a territory that was damaged by the earthquake in 2009. Anna Marziano proposes some readings in public spaces such as streets, commercial centres and swimming-pools… The space-time of the film becomes a sort of public space itself where it gets possible to experience the becoming of the individual and social body: welcoming what we cannot change… and changing what we can change.

    —–

    VARIATIONS ORDINAIRES (ORDINARY VARIATIONS)

    France/ Italy, 2012, 00:48:00
    original version french, sub: eng/ ita
    a co- production Le Fresnoy
    directed and produced by anna marziano

    Sinossi / Synopsis
    – Un’esperienza poetica e politica ha luogo a Roubaix, una città dal passato industriale che viene considerata oggi come l’area più disagiata della Francia. Per sei mesi, Anna Marziano raccoglie registrazioni sonore in vari luoghi pubblici – strade, parchi, centri commerciali, centri sociali, scuole, teatri, bar, piscine, ospedali… – ponendo invariabilmente la stessa domanda a tutte le persone incontrate. Si tratta di ricordare una o più frasi che ci sono state rivolte in passato da un familiare, un amico o uno sconosciuto… e che ci hanno in qualche modo cambiati. Le voci raccolte scorrono su tredici piani sequenza che si aprono su diversi luoghi di passaggio, creando una sorta di cartografia di micro-trasformazioni delle identità umane. Un lavoro sulla dinamicità dell’identità individuale. Una pratica relazionale all’interno di una comunità urbana. Una maniera di intendere il cinema come spazio pubblico.
    A poetical-political experience takes place in Roubaix, a town with an industrial past which is considered today as the most depressed area of France. For six months, Anna Marziano makes sound recordings in different public spaces – as streets, parks, swimming-pools, commercial malls, social centers, schools, theatres, bars and hospitals… – invariably asking the same question to the passers-by. She proposed to recall one or more phrases that a friend, a relative or a passer-by addressed to us, in a recent or remote past… A phrase that transformed us. These voices flow along thirteen long shots of different crossing spaces, creating a sort of cartography of micro transformations of human trajectories. A work on the dynamic character of individual identity. A relational praxis in an urban community. A way of understanding cinema as a public space.

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